Giangiacomo Ciaccio Montalto

Lo chiamavano “la memoria storica della Procura di Trapani”, era un fenomeno della  magistratura… Fu barbaramente e vigliaccamente assassinato di fronte a casa sua, dopo una serata passata con gli amici;

Ho trovato un bell’articolo su articolo21.org, che parla di questo superbo magistrato, e che ho deciso di condividere, seppur in maniera parziale, in questo post:

Quando fu ammazzato era in procinto, pochi giorni ancora, di lasciare la Procura di Trapani per andare a quella di Firenze.  Ecco la storia è questa. Riguarda gli anni  in cui in giro a Trapani si andava sostenendo che la mafia non esisteva, e invece Ciaccio Montalto era uno di quelli che ne aveva registrato la presenza in tanti faldoni d’indagine, a cominciare da quelli che riguardavano l’inquinamento del golfo di Monte Cofano, tra Erice e Custonaci, una conca tra terra e mare ricca di bellezze naturali, fili d’inchiesta che portavano al riciclaggio del denaro dentro le imprese, società, le banche. Lui da magistrato attento avvertì la «puzza» della mafia corleonese, colse la scalata a Trapani dei “viddani” di Riina, sentì il «tanfo» della morte lasciato per le strade e colse le infiltrazioni dentro gli uffici della giustizia, delle istituzioni, perché quella mafia era già riuscita a incunearsi dentro lo Stato per diventare poco tempo dopo ancora essa stessa Stato.

Valderice, 25 gennaio 1983. Via Carollo. L’auto venne trovata dai carabinieri ferma davanti all’ingresso dell’abitazione del magistrato. Quella sera era stato a cena con degli amici, a Buseto Palizzolo, paese poco distante da Valderice. Con se aveva la borsa di lavoro e alcuni fascicoli. Non fece in tempo a scendere dalla vettura. Non lo fecero scendere e nemmeno riuscì a provare ad aprire lo sportello. I killer lo fulminarono. Lo trovarono, scriverà il medico legale, riverso sui sedili anteriori della sua automobile, l’orologio della plancia dell’auto era fermo all’1,12 l’ora in cui i killer lo hanno freddato. Fuori dall’auto per terra vennero raccolti 10 bossoli calibro 30/luger, dall’altra parte otto bossoli stesso calibro e cinque 7,65 parabellum. Una pistola che sparò risultò provenire dalla mafia catanese, a conferma dell’alleanza tra le cosche trapanesi e quelle di Catania. I colpi mortali lo raggiunsero in rapidissima successione al torace e alla testa. Quella notte dovette esserci una incredibile tempesta di fuoco, quelle da far tremare mura e finestre, ma nessuno sentì nulla nonostante la via Carollo sia una strada stretta, è come è oggi.
Niente è cambiato. Come nel resto del territorio, dove la mafia fa chiasso ma nessuno la denuncia. E chi lo fa è indicato come un untore. Questo accade a Trapani 27 anni dopo l’assassinio del giudice Ciaccio Montalto. Deve esserci stato parecchio chiasso quella notte in via Carollo, ma non se ne accorse nessuno. Il cadavere fu scoperto sei ore dopo quando qualcuno si decise di avvertire i carabinieri. Chi era Ciaccio Montalto?
Quarantenne sposato, lasciò la moglie e tre figlie di 12, 9 e 4 anni. Tre giorni prima del suo delitto a Palermo l’Anm si era riunita a congresso ed aveva chiesto al governo (ministro della Giustizia Clelio Darida) maggiore impegno nella lotta alla mafia. Erano stati uccisi Pio La Torre, Rosario Di Salvo, Lenin Mancuso, Cesare Terranova, Piersanti Mattarella, Emanuele Basile, Gaetano Costa, Dalla Chiesa e sua moglie, Boris Giuliano. Come sostituto procuratore Ciaccio Montalto a Trapani aveva svolto le indagini sui clan dediti al traffico di eroina, al commercio di armi, alla sofisticazione di vini, alle frodi comunitarie e agli appalti per la ricostruzione del Belice dopo il terremoto del 1968. Per primo aveva intuito la centralità di Trapani nella mappa mafiosa. La sua inchiesta sul traffico delle armi verrà ripresa da Carlo Palermo, a sua volta vittima di un attentato (2 aprile 1985).

Ciaccio Montalto si ritrovò giovane ad essere la memoria storica della procura di Trapani dove lavorava dal 1971. Questa, più della vendetta per le indagini, è la ragione per cui la mafia ritenne necessario ucciderlo. Il magistrato aveva colpito gli interessi delle cosche applicando senza attendismi la legge sul sequestro dei beni "la Rognoni-La Torre" approvata nel settembre 1982 ed aveva individuato sin da allora il ruolo di Riina, Provenzano, Messina Denaro, Bagarella, e dei boss locali, dei Milazzo di Alcamo, del clan dei Minore, aveva portato davanti alla Corte di Assise alcuni esponenti di queste cosche. Poco prima di essere ucciso il magistrato aveva rivelato che durante un processo un imputato gli aveva fatto un segno che nel linguaggio mafioso significa condanna a morte. Aveva chiesto di essere trasferito, ma nel frattempo aveva proseguito senza sosta il suo impegno.  
Il processo a Caltanissetta sulla morte di Ciaccio Montalto, celebrato molti anni dopo, registrò alla perfezione la realtà trapanese. La società di benpensanti, le collusioni con Cosa Nostra. Negli anni ’80 la provincia di Trapani era divenuta terreno per la scalata al potere dei corleonesi. E il giudice Ciaccio Montalto fu tra i primi a finire nel mirino, perché Cosa Nostra aveva più di una ragione per avere paura per quel magistrato. «Ciaccinu arrivau a stazione» disse un giorno in carcere il capo mafia di Mazara Mariano Agate, «era arrivato alla stazione, al capolinea»: Agate aveva capito che Ciaccio Montalto aveva individuato una serie di canali dove dentro scorreva denaro, per questo fu ucciso. Aveva individuato una cosca di siciliani in Toscana, alcamesi, palermitani e massoni. Era a Firenze, nella città dove nel frattempo gli esattori Salvo di Salemi avevano trasferito le sedi delle loro società di riscossione, che stava andando a lavorare, per questo fu ucciso. All’ergastolo perché mandanti dell’omicidio del sostituto procuratore Gian Giacomo Ciaccio Montalto sono stati condannati gli alleati di sempre di Cosa Nostra siciliana, Totò Riina e Mariano Agate.  
Ciaccio Montalto fu un «uomo dal candido coraggio», si imbattè nella mafia che cominciava a cambiare pelle, quella che oggi chiamiamo «sommersa» e allora si cominciava ad interessare di appalti (1550 banditi e assegnati nel solo biennio 83/85 a Trapani, quasi tutti finiti intercettati da Cosa Nostra).

Parlare di Ciaccio Montalto oggi. Usando le parole dell’ex procuratore di Bologna, Enrico De Nicola, «il ricordo è la traccia da seguire per il futuro». E poi ci sono le parole del presidente Sandro Pertini proprio ai funerali di Ciaccio Montalto, «per combattere la mafia c’è solo da rispettare fino in fondo la Costituzione». Ciaccio Montalto non ha potuto concludere il suo lavoro, con quel perfezionismo che lo distingueva: non è riuscito a sconfiggere la mafia, perchè la mafia glielo ha impedito. «Ulisse era il mito di Ciaccio Montalto» ha svelato un suo amico, il pediatra Benedetto Mirto, ma a lui non è riuscito ciò che riuscì a Ulisse, battere i proci e riconquistare la sua Itaca. Il compito oggi è di altri dentro e fuori i Palazzi di Giustizia a condizione che si riconoscano i veri eroi e non si indichino invece come tali i mafiosi e i corrotti.

Mi sono preso la libertà di sottolineare quest’ultima frase, perchè per pura coincidenza richiama proprio agli avvenimenti accaduti in questi giorni (per saperne di più clicca qui), e cioè la condanna del Senatore Dell’Utri e le sue affermazioni sul mafioso Vittorio Mangano;

E’ una frase importante, su cui tutti dovrebbero riflettere…

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