Il maresciallo Ievolella pioniere dell'antimafia

di Luca Tescaroli 
Il 10 settembre 1981 il sangue tornò a scorrere nel cuore di Palermo. Là dove piazza di Principe di Camporeale viene attraversata dalla via Serradifalco, intorno alle ore 20.30, una Fiat 128 di colore giallo era parcheggiata dinanzi alla scuola media Bonfiglio.

All’interno una coppia di coniugi discuteva del più e del meno. I due attendevano, come erano soliti fare dal 31 agosto, la loro unica figlia, Lucia, all´uscita del corso di lezioni che stava frequentando per il conseguimento della patente di guida. All´improvviso, dopo aver udito tre spari consecutivi, la signora Iolanda De Tata vide il marito accasciarsi verso di lei in una pozza di sangue che gli fuoriusciva dalla testa. Con cinica e rapida precisione, sicari professionisti lo avevano freddato con diversi colpi di arma da fuoco, cominciando a sparare sul vetro posteriore sinistro della 128, per poi allontanarsi con calma a bordo dell´auto che li attendeva. Moriva così il maresciallo dei carabinieri Vito Ievolella, vero e proprio pioniere della moderna investigazione antimafia.
Oggi, con soddisfazione, possiamo dire che quel delitto ha un perché e i responsabili hanno un volto. Un verdetto definitivo ha accertato che Tommaso Spadaro fu il mandante e Giuseppe Lucchese uno dei molti esecutori materiali. Entrambi sono stati condannati all´ergastolo, a seguito delle collaborazioni di Salvatore Cancemi, Salvatore Cucuzza, Antonino Marchese (accusatisi del delitto) e di Pasquale Di Filippo. Gli altri membri del nutrito commando sono morti ammazzati (Pino Greco, Filippo Marchese, Giovanni Fici e Mario Prestifilippo).
Capo della sezione del Nucleo operativo specializzata nella repressione dei reati contro il patrimonio, profondo conoscitore dell´ambiente criminale palermitano e punto di riferimento per colleghi e superiori, il sottufficiale era stato protagonista di un´indagine particolarmente significativa che aveva comportato un salto di qualità al contrasto al crimine mafioso. Gli inquirenti dell´epoca ebbero immediatamente ad inquadrare il contesto in cui era maturata la decisione di ucciderlo, collegando l´omicidio alle investigazioni che il sottufficiale aveva svolto nel più recente passato, sfociate nella presentazione di un rapporto giudiziario, datato 30 marzo 1981, davvero diverso da tutti gli altri che l´avevano preceduto. Una pietra miliare nella storia giudiziaria dell´antimafia, una vera e propria miniera di notizie su una miriade di personaggi e di episodi, che toccava interessi vitali dell´organizzazione e lasciava presagire sicuri sviluppi, caratterizzato da elementi di novità, legati soprattutto allo sforzo di ricostruire i vincoli associativi tra i soggetti denunciati, in cui erano contenute anticipazioni di vicende future, che avrebbero segnato quella stagione della storia criminale palermitana, conosciuta come l´ultima "guerra di mafia". Veniva individuata l´esistenza di un´associazione, definita di carattere mafioso, finalizzata al contrabbando di tabacchi, al traffico di sostanze stupefacenti e alla commissione di omicidi e reati contro il patrimonio, e che vedeva come soggetto di spicco e punto di riferimento Tommaso Spadaro. Il metodo ed il contenuto delle indagini, per quei tempi fortemente innovativi, venivano a rompere, come lo stesso Ievolella annotò al termine della sua fatica, «l´abituale silenzio delle vittime, dei parenti e di numerose persone che conoscono la verità» in ordine a un agghiacciante numero di delitti, costituente fino a quel momento la dimostrazione che - come si legge a pagina 98 del rapporto - «i mafiosi, consapevoli che nessuno osa accusarli, agiscono con iattanza, con sicurezza e con tracotanti atteggiamenti di sfida, almeno sino al momento in cui vengono raggiunti dalla giusta e rigorosa applicazione della legge».
Un lavoro cominciato il 10 settembre 1980, un anno esatto prima dell´assassinio, che ruppe davvero quel clima di connivenza e che riuscì a minare dall´interno la sicurezza dell´organizzazione criminale, sapientemente sfruttando le dichiarazioni di Luisa Prestigiacomo, che ben avrebbe potuto definirsi una collaboratrice di giustizia, se detto termine fosse a quel tempo esistito. Con la consegna di quel rapporto Ievolella cominciò a morire. Il maresciallo lo aveva capito sin da quando aveva ricevuto le minacce di morte al termine dell´attività, giudicate a tal punto serie da indurre i suoi superiori ad assegnargli una scorta. Ma quel sevizio di protezione ebbe termine nel mese di giugno, allorché egli venne ricoverato presso l´ospedale Cervello per un sospetto tumore allo stomaco, notizia rapidamente diffusa che aveva indotto i detenuti dell´Ucciardone a brindare. A nulla valsero le richieste di ripristinare le misure di sicurezza durante la degenza e la dimissione dall´ospedale, perché si ritenne che «il momento critico era passato». E così quell´uomo dello Stato, dallo Stato abbandonato, andò incontro al suo tragico destino. Era un momento storico in cui mancava la necessaria sensibilità istituzionale, sebbene nei due anni precedenti fossero stati assassinati il procuratore della Repubblica di Palermo, Gaetano Costa, il capitano dei carabinieri Emanuele Basile, il presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella, il dirigente della Squadra mobile Boris Giuliano e il giudice Cesare Terranova. Sono trascorsi più di cinque lustri dall´assassinio dimenticato di Vito Ievolella e a quel carabiniere occorre rendere omaggio. Tutti dobbiamo essergli grati per ciò che ha fatto e per il coraggio dimostrato.
La Repubblica edizione Palermo

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