Mario Francese nacque a Siracusa il 6 febbraio del 1925. Terzo di quattro figli, irrequieto per natura, ultimato il ginnasio nella sua città, decise, di comune accordo con la famiglia, di trasferirsi a Palermo, da una zia, sorella della madre, per completare gli studi liceali e poi iscriversi all'università. A 15 anni dimostrò già grande personalità, facendo la sua prima grande scelta seguendo l'istinto. Conseguita la maturità classica si iscrisse alla facoltà di ingegneria, ma lontano da casa sentì il bisogno di rendersi economicamente indipendente. Negli anni Cinquanta entra quindi come telescriventista all'agenzia Ansa, ma per quel lavoro era sprecato e lo capirono ben presto anche i suoi capi che decisero di dargli spazio come giornalista, con la promessa di assumerlo dopo qualche tempo nell'organico redazionale. Un impegno mai mantenuto e di cui Francese si dolse molto. Ma all'Ansa Mario Francese poteva dare sfogo alla sua grande passione:scrivere. E nonostante ufficialmente fosse solo un telescriventista, ormai contagiato dal tarlo della notizia cominciò il suo sogno di lavorare per un giornale, diventando corrispondente de «La Sicilia» di Catania, per il quale scriveva di cronaca nera e giudiziaria. Aveva però necessità di una sistemazione migliore e dal primo gennaio 1957 entrò in Regione come «cottimista». E anche qui «sbattè» nel mestiere: venne infatti nominato capo ufficio stampa all'assessorato ai Lavori pubblici. Dall'ottobre 1958 l'assunzione alla Regione diventò definitiva. Raggiunta la «sistemazione» economica decise che quello fosse il momento di mettere su famiglia, ed il 30 ottobre del 1958 convogliò a nozze a Campofiorito, nel Corleonese, con Maria Sagona. Dall'unione nacquero quattro figli maschi. Ma preparare comunicati stampa per i giornali gli stava stretto. Con l'Ansa il rapporto si ridusse sempre più, fino al febbraio del 1960, quando decise di licenziarsi. La collaborazione con "la Sicilia" continuò fino a quando, alla fine degli anni Cinquanta, Girolamo Ardizzone lo chiamò al "Giornale di Sicilia". Dopo qualche tempo gli fu affidata la cronaca giudiziaria e in questo settore si lanciò con tutta la sua generosa passione diventando in breve tempo una delle firme più apprezzate nonchè uno dei più esperti conoscitori delle vicende mafiose. Nel 1968 fu posto davanti all'out-out: la Regione o il Giornale di Sicilia. E non ebbe dubbi: scelse di restare in trincea, diventando nel frattempo giornalista professionista. Da quel momento, dalla strage di Ciaculli all'omicidio del colonnello Russo, non vi fu vicenda giudiziaria di cui non si sia occupato, cercando una «lettura» diversa e più approfondita del fenomeno mafia. Il suo è stato un raro esempio in Sicilia di «giornalismo investigativo». Fu l'unico giornalista a intervistare la moglie di Totò Riina, Ninetta Bagarella. Il primo a capire, scavando negli intrighi della costruzione della diga Garcia, l'evoluzione strategica e i nuovi interessi della mafia corleonese. Non a caso parlò, unico a quei tempi, della frattura nella «commissione mafiosa» tra liggiani e «guanti di velluto», l'ala moderata. E Cosa nostra non l'ha perdonato, fulminandolo la sera del 26 gennaio 1979 davanti casa, mentre stava rientrando dopo una dura giornata di lavoro. (fondazione francese.org) Oltre ad un coraggioso quanto approfondito dossier sulla mafia, per il quale lavorò moltissimo, Francese dedicò una buona parte dei suoi ultimi mesi al tentativo di far luce su due delitti che l'avevano particolarmente colpito, e che erano stati troppo velocemente archiviati come "incidenti": quello di Cosimo Cristina, e quello di Peppino Impastato. Il delitto di Francese finì presto nel dimenticatoio, e l'inchiesta venne archiviata... Solo dopo molti anni, e le insistenze della famiglia, si arrivò alle condanne definitive di Totò Riina, Leoluca Bagarella (esecutore materiale), Raffaele Ganci, Bernardo Provenzano, Francesco Madonia e Michele Greco. |
Mario Francese
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Art
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